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martedì 4 ottobre 2011

La Strada Sempre In Posa - il nostro libro

Mentre scrivevo il post precedente sull'altro libro, mi son reso conto che non ho mai accennato su questo blog al libro che ho\abbiamo realizzato un paio di mesi fa col nostro diario e le nostre foto.
C'è poco da aggiungere, a me fa sempre un po' commuovere quando butto l'occhio sulla mia copia ben esposta in salotto...


L'America In Vespa

Ciao ragazzuoli, oggi mi è arrivato un libretto che mi ha suggerito un amico (che ci si è imbattuto per caso) e che ha subito catturato la mia attenzione, e il motivo lo capite facilmente da titolo, sottotitolo e copertina:


Vi farò sapere quando lo leggo (sperando che si parli molto di Route e non troppo di Vespa), e nel caso ve lo preso volentieri.

Qui l'articolo in cui si era imbattuto il mio amico:

«La Vespa riposava nel prato, un rottame sotto un telo. Io sognavo di sistemarla e dipingerla come il mitico Generale Lee della serie televisiva Hazzard e di percorrere il mito di tutte le strade e di tutti i sognatori: la Route 66, da Chicago a Los Angeles.»
Una Vespa 50 special color arancione del 1978 e una giovane coppia - più o meno coetanea della due ruote - che corona un sogno percorrendo in soli due mesi la mitica Route 66, quasi 3.755 chilometri da est a ovest degli Stati Uniti, partenza a  Chicago e arrivo a Los Angeles.
L'America in Vespa è il diario di questo viaggio straordinario - e molto low cost - che Giorgio Serafino e la moglie Giulia si sono regalati in sella a Generale Lee come hanno battezzato la loro fida vespa in onore della serie televisiva Hazzard.
Un viaggio che è anche una scelta di vita sulla strada dell'avventura, il simbolo dell'on the road, cantata da Nat King Cole e raccontata da John Steinbeck come the mother road.

lunedì 29 novembre 2010

La Route66 con Google StreetView

Eh beh, per i comuni mortali magari è un compromesso sufficiente...

domenica 10 ottobre 2010

MotherRoad Chronicles - Day 18 - Los Angeles

24.08.2010

Sveglia alle ore 10, con la bocca che sa di amianto vista la pregevole performance infernalcolica della serata precedente.
Sui volti dei miei compagni d'avventura intravedo fitte di dolore, non so se per le stilettate post bevuta, che sicuramente stanno martoriando la loro calotta cranica, o se per la consapevolezza che questa, ahinoi, è l'ultima mattina che trascorreremo insieme sull'amato suolo USA.. Almeno per quest'anno.
Facciamo i "ciambotti", mollemente svaccati sulle sdraio a bordo piscina, mentre attendiamo l'arrivo di Pigoz, che in uno dei suoi proverbiali scatti di follia cinematico-amorosa è andato nottetempo a Venice Beach, per una stilosa colazione d'addio con Anne Aurore, anche lei di passaggio a Los Angeles..
Il nostro arriva bel bello, e spostiamo sul Sunset ( CI SPOSTIAMO SUL SUNSET!!! Siiiigh, da domani al massimo potrò dire "Faccio due passi in Via Stoppani".. Altro che sentirsi un personaggio di un romanzo di James Ellroy... ) un pranzo malinconico a base di cheeseburger.
Attacco di orgoglio. Ci rifiutiamo di attendere l'imbarco mogi mogi, sfruttiamo al meglio le ore che ci restano, e vaffanculo tutto.
Mi piazzo al volante, e ci regaliamo un bel giro per la periferia nord di L.A. Innanzitutto ci dirigiamo al Griffith Park, e risaliamo le colline su fino all'Osservatorio, quello dove sono state girate scene proverbiali di Gioventù Bruciata ( non a caso, in bell'evidenza c'è una statua col faccione di James Dean ).
Da lì si gode una vista di Los Angeles che, al netto dell'onnipresente foschia, sarebbe davvero da cartolina..
E finalmente riusciamo anche a vedere la famigerata scritta "HOLLYWOOD" in letterone bianche, il marchio di fabbrica di questa parte di mondo, il simbolo di cento anni di storia del cinema e dello star system che ronza attorno ad esso. Emozionante, senza dubbio.
Tornando a valle, ci imbattiamo anche nell'entrata di una galleria che ho visto in un sacco di film. Se qualcuno di voi ha visto "Chi ha incastrato Roger Rabbit", si ricorderà del tunnel che porta all'entrata di Cartoonia.. Ebbene, io sono quasi sicuro che si tratti proprio di quella galleria.
Sono soddisfattissimo. Percorriamo i quartieri stilosi, godendomi le ultime docili risposte di Barney alle indicazioni della mia guida: Beverly Hills, Bel Air, Rodeo Drive, e finalmene un giro sulla Mulholland.
Tempo di ridiscendere.
Un ultimo drink al Taco Bar di ieri è il suggello alla nostra grande epopea.
Controvoglia, bruciamo gli ultimi km che ci separano dall'aeroporto.
Consegnamo Barney all'autonoleggio. Prima di scendere, do qualche colpetto affettuoso al volante. Barney è stato un servitore devoto ed efficiente, il migliore che potessimo desiderare.
Poi aeroporto, check in, imbarco.

Le luci si spengono.
Il bar sta chiudendo.
I compagni vanno ciascuno per la propria strada.
Resta un ricordo marchiato a fuoco dentro di me. Per sempre.

domenica 3 ottobre 2010

MotherRoad Chronicles - Day 17 - Los Angeles

23.08.2009

Ultimo giorno “pieno” di vacanza..
Siamo alla fine del viaggio, e probabilmente è un bene. In poco più di due settimane abbiamo immagazzinato una tale quantità di emozioni e i dati audio/video che i malandati Pentium386 installati nei nostri cerebri, ormai stravolti da una maratona chilometrico/gastronomica senza precedenti, avranno di che elaborare per parecchi mesi…
Per me, JP e Piotrek il batticuore della scoperta sembra essere ormai cessato. Dico “sembra”, poiché la Città degli Angeli, di cui abbiamo comunque già visitato i luoghi più classicamente turistici ( JP e Pietro addirittura già due volte.. ), riuscirà comunque a cavare dal cilindro altri momenti e luoghi indimenticabili..
Mentre il Putto e Filmoya dedicano una giornata agli Universal Studios, noi tre cialtroni optiamo per una giornata di relax in spiaggia a Venice Beach. Avendo lasciato Barney ai due prodi di cui sopra, ci godiamo una buona ora di pullman, affollato dalla tipica fauna proletaria losangeliana: sostanzialmente ispanici e i nostri amatissimi nigga.

A Venice troviamo una folla variopinta e incontrollabile, dedita a godersi questa giornata agostina in cui la tradizionale foschia è stata perforata da un sole gagliardo.
Bazar ovunque, locali stra-affollati di gente impegnata ad ingurgitare ogni sorta di schifezza e a tracannare birra o bevande gassate per placare l’arsura. Famelici, compriamo inevitabili cheesburger da un gabbiotto di “luridi”, e mentre ingurgitiamo il rituale migliaio abbondante di calorie, osserviamo il bestiario che si affaccenda sul lungomare: è un mosaico di etnie, colori, vestiti, musiche. Fisici da dei e dee greche si alternano a ciccioni veramente rivoltanti. Hippies, asiatici, b-boys, rockettari, Are Krishna, fattoni, ispanici, rappers, darkettoni, buddisti, bianchi e neri. Tutti insieme a far girare il caravanserraglio, tutti accettano tutti o se ne fottono bellamente di tutti. Chi è impegnato a fare pesi nelle palestre a cielo aperto, sfoggiando muscoli guizzanti e cipiglio da duro e puro, fingendo di ignorare i curiosi e in realtà vivendo per il loro giudizio ; chi è preso a suonare musica di tutti i generi e con tutti gli strumenti immaginabili; chi è attratto in una specie di mini anfiteatro in cui si sta tenendo un Topless Day, per la verità di scarso successo fino a quel momento; chi si è lanciato in un partitone a basket su campetti entrati di diritto nella leggenda di questo sport; insomma, un mondo a sé stante, tutto da scoprire, visto mille volte in tv ma mai compreso e amato come in questo momento in cui ne facciamo parte a pieno titolo.

Nel primo pomeriggio ci spariamo un’oretta di sole beatamente spaparanzati sulla sabbia. Per me, che mi addormento come se mi avessero dato una martellata in nuca, si rivelerà un’ora letale, dalla quale uscirò alquanto stordito e gamberizzato in modo ridicolo.
Desiderosi di dare una svolta intellettuale a questa giornata, ci infiliamo in un Taco Bar e ci dedichiamo all’alcool e ai nachos. Una cameriera biondissima in minigonna di jeans, maglietta bianca annodata sotto le bocce e cappello da cow-girl ci serve delle clamorose Corona da 66cl, al che perdo la testa e mi metto a succhiare come un gorgo.

Quando usciamo dal locale, piuttosto allegri e volendo bene praticamente a tutto il mondo, sta imbrunendo. Marco e Fede si ricongiungono a noi, e andiamo a scattar foto commoventi sul molo di Santa Monica.
C’è malinconia, nell’aria. Tutto è avvolto da un alone testamentario. Assieme al sole sta tramontando quella che senza dubbio alcuno è stata la vacanza più incredibile dei miei primi 29 anni. È quasi con solennità che raggiungiamo la fine del Santa Monica Boulevard, e leggiamo la targa che sancisce la fine della Route 66 che per noi è stata Strada Madre e Maestra, ma della quale nessuno a Los Angeles sembra curarsi.
L’emozione è in parte guastata comicamente da un duo di sballati che ballano una musicaccia sparata a tutto volume da una radio scassata, lui con il testone avvolto completamente in una kefia, lei che si struscia con movenze da pornodiva (ed è meglio che io non entri nei dettagli). Fortunatamente dopo un po’ se ne vanno.
Quasi a suggellare la silenziosa cerimonia di commiato alla Route 66, arrivano dei motociclisti francesi che come noi l’hanno percorsa in tutta la sua lunghezza, ma su due ruote.
Ci fotografiamo a vicenda, sancendo un gemellaggio inedito Italia / Francia che ha ragion d’essere solo a un oceano di distanza dalla vecchia Europa.

Fame. Ritorniamo dalle parti del nostro motel, e plachiamo l’ardore dei nostri stomaci da In & Out a suon di… cheeseburger.
A un certo punto nel parcheggione di fronte al locale arriva uno strano gruppo di squinternati, che scendono rumorosamente da una specie di ibrido furgone / pullman, all’interno del quale intravediamo luci stroboscopiche in quantità industriale, come se si trattasse di una bizzarra discoteca ambulante. Emerge una specie di Megan Fox dei poveri, che ci impietrisce tutti quanti con la sua imperdonabile procacità e sfila fino al bancone, dove insieme ad una specie di pappone che sembra uscito dalla biografia non autorizzata dei Led Zeppelin ordina una vagonata di cibo per tutta la crew.

“Che si fa stasera?” butta là qualcuno, senza molta convinzione. Ci guardiamo in faccia per un attimo. Non serve neanche parlare. Ci inforniamo in un supermarket, compriamo una quantità più che rispettabile di birra e vodka, e ci dedichiamo ad una serata alcolica a bordo piscina, evocando i momenti memorabili della vacanza, o semplicemente restando in silenzio.
Andiamo avanti a trincare fino a notte fonda.

mercoledì 29 settembre 2010

MotherRoad Chronicles - Day 16 - From San Diego To Los Angeles

22.08.2009

Inutile negarlo. Siamo stanchi morti. Gli ultimi due giorni nella Città degli angeli saranno vissuti, almeno da me, nel miglior compromesso possibile fra il "torpore" derivato da una scorreria di quasi 6000 Km tagliando in due il Midwest, e la comprensibile urgenza di sfruttare al meglio le ultime battute di una vacanza già entrata nella leggenda.
Intanto, la tratta da S.Diego a Los Angeles non è d'aiuto. C'è un traffico assurdo, tanto che decidiamo di farci la litoranea, tra begli scorci di paesaggio ( menzione d'onore a Ocean Side e il suo porto )e macroscopici errori di percorso.
Tanto per chiarire, tentiamo inconsapevolmente di entrare in una base militare, con tanto di truce e muscolosissimo sergente nero di piantone, che ci intima senza cerimonie, di tornare indietro.
La disavventura mi gasa: finalmente ho incontrato il tipico soldatone USA, il tipico personaggio che farcisce innumerevoli filmoni e filmetti di matrice yankee: per un momento mi sono sentito protagonista di un assurdo ibrido fra "Full Metal Jacket" e "Hot Shots"!

Pranziamo in un classico fast food à la Johnny Rockets. Dietro di noi si abbuffa una famigliola romana. Il "patriarca" ci apostrofa in dialetto trasteverino: "Ahò, ma vuoi mettere 'na pasta co' 'sta robba?" Effettivamente dopo 16 giorni inizio ad aver voglia di una bella piattazza di tagliatelle al ragù..
Voglio citare anche la cameriera, di cui non ricordo il nome, ma gli occhi azzurrissimi, quelli sì.

Entriamo nell'Orange County, terra di repubblicani, riccastri, fighetti e telefilm.
Filmoya alla guida tenta invano di parcheggiare per fare un salto al molo reso famoso da "The O.C.". Barney fende la folla che satura letteralmente le strade su cui si affacciano i negozi. Tutt'altra cosa rispetto alla città deserta del novembre 2007... Percorriamo anche vie signorili fiancheggiate da lussuose case di villeggiatura.
Non mi piace Newport. Per un attimo vengo colto dalla voglia di cantare Bandiera Rossa e orinare in mezzo a quelle specie di Wisteria Lane. Fortunatamente l'attacco di anarchia scompare veloce com'è arrivato.

Arriviamo finalmente a L.A. dopo una seconda overdose di traffic jam.
Siamo piallati. Raggiungiamo il motel che ci farà da casetta per i prossimi due giorni. Con la sua piscina centrale e gli appartamenti cui si accede arrampicandosi su scale ripidissime, ci gasa il fatto che il motel assomigli un po' alla versione dei poveri del complesso dove abitavano quegli stronzi antipatici dei personaggi di "Melrose Place".
Ci vogliono un paio di ore per convincere le nostre membra a staccarsi dal materasso, e le trascorro guardando uno dei film più divertenti e genuinamente ignoranti di sempre: "Major League", con il mai troppo lodato Charlie Sheen nel ruolo di "Wild Thing", e Tom "Sgt. Barnes" Berenger in quello di uno scalcagnato veterano del baseball che vince la league e conquista la sua bella, quel bel tusanin di Renée Russo..

L'Amoeba è a un tiro di schioppo. Ci sentiamo moralmente obbligati a fare un salto e a comprare i soliti 8-9 ciddì. Irretito come sempre dal subdolo Piotrek, stavolta esagero. A mia discolpa, ammetto che era eccezionale il modo in cui quel bastardo mi arrivava di fianco, con una qualche capolavoro in mano, sussurrandomi con voce bassa da cospiratore e sguardo da cherubino: "Questo è un capolavoro, a un prezzo assurdo. Fai te, io lo rimetto al suo posto". E io, come un bovino pungolato dal pastore, mi fiondavo a farlo mio.
Esco dal negozio ringraziando/maledicendo il dio della musica, che ha collocato l'Amoeba a L.A. anziché nella ben più strategica Garlate (LC) e mi riunisco agli altri, a loro volta soddisfatti.

Andiamo a bighellonare sull'Hollywood Boulevard. Ammetto sinceramente che la magia della prima volta, assaporata 2 anni fa, è un lontano ricordo. Walk Of Fame, Kodak Theater, la folla di figuranti travestiti che cercano di incastrare il turista per la foto a pagamento.. Tutto già visto, mi dico malinconicamente.
Fortuna che il Chinese Theater, con le leggendarie mattonelle di cemento "firmate" da glorie vecchie e nuove del cinema, è ancora in grado di risvegliare il mio entusiasmo di cinefilo, sarà che qui la storia si può toccare tangibilmente, e si può constatare con un certo sgomento che piedini da Cenerentola aveva quel duro di John Wayne...

Scocca la mezza. Ho due elefanti seduti sulle palpebre. Si decide di tornare a casa in in taxi. All'ultimo momento vengo colto da un raptus di masochismo e mi obbligo a farmela a piedi lungo tutto il Boulevard fino al motel.
Il mio coraggio viene ricompensato da una serie di scorci interessanti della quotidianità di questa parte dell'immensa metropoli: ragazzi neri che fanno free style, biondone supertirare all'ingresso di un locale, limousine come se piovesse, e anche una procedura di arresto da manuale, a spese di un cretino che guidava ubriaco marcio.
Non c'è male L.A., non c'è male...

domenica 8 agosto 2010

Un anno

Ormai su questo blog tutto è già stato detto e considerato, ma non potevo esimermi da un mini post a un anno esatto dalla partenza vera e propria, da quell'8 Agosto che ricordo di aver aspettato quasi con ansia nei mesi precedenti, e che ci ha portati ad atterrare a Chicago, a prendere Barney, a sentirci dare dei polacchi alla reception del primo motel, ad andare da Hooters per il primo impatto con la cultura yankee, a vedere chi-town dall'alto dell'Hancock tower... e per l'amor di dio sto solo parlando delle primissime ora di una vacanza "sempre in posa".

Mi manca di brutto.

Buon anniversario, nobili compagni d'avventura